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Dal mensile Albatros di novembre

Che la terra flegrea compresa tra Cuma e le rocche scure del Monte, passando per Bacoli, fosse una miniera di tesori archeologici, è cosa nota…Il passato affiora per ogni dove nel “quadrilatero” un po’ irregolare compreso fra i quattro comuni flegrei e, accanto alle scoperte già fatte, troppo spesso abbandonate nel degrado e nell’incuria, soffocate da colate di cemento disordinate e in molti casi illegali, a pochi metri dalla superficie sembrano ancora infinite le reliquie del mondo antico che questa terra custodisce: reperti non ancora venuti alla luce, meta frequente di tombaroli e saccheggiatori, talvolta distrutti in gran segreto per evitare l’esproprio.

Ma da poco tempo, la terra, nella zona di Cappella, a Monte di Procida, ha restituito le antiche, splendide vestigia di una necropoli romana. Così, quasi per caso: durante alcuni lavori di ristrutturazione gli operai hanno visto “qualcosa” affiorare dal sottosuolo.

I lavori di sbancamento vengono bloccati immediatamente, si chiamano gli esperti della Soprintendenza: è bastata un’iscrizione testamentaria per far capire agli archeologi a quale patrimonio inestimabile si trovassero di fronte, reperti che potrebbero significare non solo una svolta per gli studiosi, ma anche per l’intera città, un ritrovamento sensazionale sotto tutti gli aspetti.

Nel sottosuolo di Monte di Procida è stato rinvenuto un vero e proprio sacrario contenente i resti di un centinaio di marinai della leggendaria Classis Misenensis, sulle cui tracce sono da anni stuoli di archeologi e studiosi.

Sotto un sottile strato di terra, appena sotto il livello stradale, giacciono i resti dei marinai della prestigiosa flotta di stanza a Miseno: dagli esami effettuati sembra possibile datare con sufficiente precisione i reperti, collocandoli nel periodo tra il II ed il III secolo dopo Cristo.

Ma gli scavi di Cappella hanno portato alla luce altro ancora: in uno strato successivo, tre metri più in basso rispetto al sacrario, la necropoli: due “colombari”, con tutta probabilità di epoca anteriore al II secolo, due strutture a cupola in cui furono ricavate decine di nicchie destinate a custodire le urne cinerarie.

Un primo interrogativo dunque, nasce proprio dalla peculiare disposizione dei reperti, i resti dei marinai in uno strato superiore e dunque di datazione posteriore rispetto alla necropoli: in altri termini ci si chiede come mai i marinai siano stati sotterrati al di sopra dei colombari. La teoria più accreditata dagli studiosi, si rifà alla sovrapposizione del credo cristiano sugli antichi culti pagani.

In sostanza, prima dell’avvento e della diffusione del cristianesimo, i riti politeistici diffusi nella società romana prevedevano la cremazione dei corpi; poi, con l’affermazione della religione monoteistica, tale pratica fu sostituita dall’inumazione. È più che probabile, dunque, che l’antica necropoli pagana sia stata coperta già in tempi antichi, e che su di essa sia sorto un cimitero cristiano.

L’unico uso che sopravvisse, e di cui ci testimoniano appunto i resti dei marinai esumati a Cappella, fu quello di seppellire i corpi con una moneta tra i denti, con la quale i defunti avrebbero dovuto pagare l’“obolo per Caronte”, affinché li traghettasse nel loro viaggio nell’aldilà. Un’usanza, peraltro, che è rimasta in vita fin quasi ai giorni nostri, se è vero che, ancora nell’ottocento, si usava, in alcune zone della Gran Bretagna e dei paesi di origine celtica, coprire gli occhi dei defunti con due monete, appunto perché potessero pagare l’estremo viaggio ed evitare di vagare per sempre nel limbo. Le tombe rinvenute non sono sfarzose: le “Leges Sumptuarie”, infatti, imponevano l’austerità sia per i funerali che per i matrimoni, e tuttavia innumerevoli e fondamentali sono le informazioni che è possibile trarre dalle sepolture di Cappella circa la provenienza degli uomini della Classis: quasi nessuno proveniva da Puteoli o dalla vicina Neapolis, la maggior parte era nativa dell’Africa e dell’Asia Minore.

Le pareti della necropoli erano, comunque, ornate di affreschi di raffinata fattura, tra cui una raffigurazione di Selene, la dea della dolce morte: immaginata dagli antichi come personificazione del sonno eterno, riconoscibile grazie alle peculiari “corna del crescente lunare” che richiamano la sua funzione, è un’immagine rara, poco rappresentata nell’iconografia tradizionale e che, dunque, rende la scoperta ancora più rilevante.

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