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Assunta Esposito intervista Dario Salvetti: Il regista del docufilm Il Partigiano Orso – la scelta di Lorenzo Orsetti

Intervista a Dario Salvetti – di Assunta Esposito
Dario Salvetti: Il regista del docufilm Il Partigiano Orso – la scelta di Lorenzo Orsetti.

Si presenta nella sua umiltà di operaio impegnato nelle lotte della fabbrica GKN presso cui lavora, mentre ci parla del suo documentario di 40 minuti, su Lorenzo Orsetti detto Orso, il giovane fiorentino morto combattente contro lo Stato Islamico nella regione del Rojava a sud-est della Siria insieme alle milizie curde nel 2019.

Il documentario il cui titolo è Il Partigiano Orso, è stato presentato al Festival dei diritti umani di Napoli dove ha vinto il Premio Human short rights, ed è già stato presentato a Roma e Firenze nei circuiti di avanguardia del cinema indipendente.

Dario Salvetti regista già di Il nemico in piazza, il documentario inchiesta che racconta la strage di P.zza Dalmazia nei confronti di cinque senegalesi, e di Racconti di classe, ambientati nel quartiere di Firenze Rifredi non ha remore nel raccontare il suo lavoro e la sua passione.

Sei stato contattato dalla famiglia di Lorenzo Orsini per questo documentario? O è stata un’idea tua?

L’ho proposto io alla famiglia. Ci è voluto un anno intero di studio reciproco, perché ci vuole un’immensa fiducia tra coloro che sono coinvolti nel documentario per farlo. Credo nell’identificazione tra chi fa il documentario e i fatti e i soggetti coinvolti, mi piace occuparmi di documentari seguendo maestri come Zavattini del neorealismo. Infatti continuo a fare l’operaio. Per il momento ho messo in luce le difficoltà e contraddizioni di un quartiere come Firenze Rifredi, dove vivo.

Come ti hanno colpito le due tragedie di Firenze Rifredi che hanno lacerato la comunità: quella della strage di p.zza Dalmazia, con l’omicidio di SambMadou e Diop Mor, e quella di Lorenzo Orsini?

Il documentario su Lorenzo ha meno inchiesta rispetto alla strage di p.zza Dalmazia e anche assenza di atti di violenza xenofoba molto forti nel quartiere Rifredi.

Cosa hai scoperto nel quartiere facendo i due documentari, frequentando gli amici di Lorenzo e di Samb Madou?

Ho scoperto un quartiere che aveva una grande ribellione ma anche dignità, frequentando i ‘compagni’ di Lorenzo; la scelta di fare un documentario su Lorenzo non è stata casuale ma determinata dal contesto. Certo, solo Lorenzo ha fatto la scelta di arruolarsi nelle GYP siriane e di andare a Rojava a combattere l’ISIS, lasciandoci la vita. La storia di Lorenzo ci mette di fronte alla responsabilità di cosa siamo disposti a dare! La domanda obbligatoria è: Quanto vogliamo cambiare? Ci lascia soli di fronte al nostro senso di inadeguatezza.

Cosa pensi del fatto che Lorenzo abbia scelto di andare lì impugnando le armi?

Il documentario non si nasconde nella neutralità; come regista ho lasciato agli altri le considerazioni morali su cosa poteva fare Lorenzo Orsetti. Ho compreso il suo rapporto con la resistenza. Per me Lorenzo è andato lì inserendosi nelle categorie storiche sulla resistenza: la guerra di Spagna, Cuba, l’Intifada, e ancora prima la resistenza italiana. Lorenzo è andato lì per difendere degli ideali. Chiaro che poi c’è stato bisogno di difendersi, ma per Lorenzo non è mai stata una battaglia tra civiltà. Che si possa trovare serenità in una guerra e disagio nella nostra società ci deve far porre qualche domanda.”

Per quale motivo questa scelta estrema di Lorenzo? Hai indagato sui rapporti familiari?

Si può fare un documentario su tutto, anche su un dolore personale, io ho deciso di lasciare tutto quello che ha condotto Lorenzo a fare questa scelta all’analisi sociologica di altri. Ho voluto preservare la sensibilità di coloro che soffrono per la scelta di Lorenzo. E infatti è un documentario anche su Alessandro Orsetti: il padre di Lorenzo.”

Assunta Esposito

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