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Video. Giulio Travaglio (Baia), l’uomo che vinse cinque volte la Capri- Napoli

L’uomo “squalo” che vinse cinque volte la Capri-Napoli

Passavo sei ore al giorno in acqua tre di mattina e altrettante di pomeriggio. Era un lavoro massacrante Al termine dell’allenamento non ero in grado di uscire dalla piscina. Ho detto no anche a Dennerlein che mi voleva alle Olimpiadi del 1964. Troppa politica e poca vita, in quel periodo andai a Santa Fe. Ho fatto tutto da solo, senza l’aiuto di nessuno

Dal mare al cielo, seguendo sempre il cuore. Giulio Travaglio, l’uomo squalo del nuoto di fondo italiano degli anni Sessanta, vincitore di cinque Capri-Napoli e di decine di gare in ogni angolo del mondo, dopo l’attività agonistica ha scelto di volare per l’Alitalia. Trent’anni come capo cabina, poi il “buen retiro” in Argentina, dove oggi vive con la moglie Maria e le due figlie. Occhi azzurri (e come potrebbe essere altrimenti?) e sguardo da scugnizzo, Travaglio è tornato a Napoli la scorsa settimana per la 45esima edizione della Maratona del Golfo, di cui è presidente onorario. “Devo ringraziare Luciano Cotena, quando ha rimesso in piedi la kermesse ha pensato di chiamarmi ed è stato un bel gesto. In Italia il nostro sport vale poco o nulla, ma in altre parti del mondo le gare sono vissute con enorme partecipazione”. Guarda il “suo” mare, Giulio, e sfoglia l’album dei ricordi: “La mia prima partecipazione alla Capri-Napoli risale al 1963. Avevo appena vinto il titolo di campione italiano nello Stretto di Messina, ero convinto di potermi ripetere nella mia città, ma feci male i calcoli e a metà percorso mi bloccai. Ero immobile, infreddolito, caduto nella trappola più frequente e temuta, l’ipotermia. In quel periodo curavo personalmente allenamenti e alimentazione e spesso andavo fuori giri. Nessuno sapeva dirmi che tipo di allenamento fare, o come gestirmi in gara. Prendevo banane, bevande energetiche e plurivitaminici. Qualcuno mi prese per pazzo, ed effettivamente lo ero. Poi grazie ai consigli dei più esperti colleghi argentini migliorai anche questi aspetti e preso il volo”.

I successi ottenuti dal 1965 al 1968 e nel ‘70 hanno alla base un incredibile lavoro fisico e mentale: “Passavo sei ore al giorno in acqua, tre di mattina e altrettante di pomeriggio. Era un lavoro massacrante, al termine non ero in grado di uscire dalla piscina. Il motivo? Penso – e pensavo – che nello sport si vinca per il 50% grazie alla preparazione atletica e per l’altra metà grazie a quella psicologica: per imporsi bisogna avere una tenuta mentale notevole, ma anche essere fisicamente al top. La mia caratteristica era quella di “ammazzare” gli avversari, sfiancarli: mi prendevano sempre la prima ora, poi la seconda, la terza, ma alla quarta mi lasciavano andare, convinti che sarei crollato. E invece vincevo sempre io”.

Ha stabilito record all’ombra del Vesuvio, in Sudamerica, Asia, Canada, ma non in Egitto. “Nel mio palmares c’è molto più della Capri-Napoli, che resta comunque la gara a cui sono più affezionato: vincerla una volta è incredibile, fare cinquina decisamente unico. Sono stato anche campione del mondo, ho vinto a Montreal una gara di trenta ore per team. Come compagno avevo Abdel Abou Heif, il “coccodrillo del Nilo”: trionfammo in un lago, nell’acqua fredda, con 600 metri di vantaggio, un giro intero. Il rammarico più grande? Non aver mai vinto in Egitto, ma lì sono stato fregato. Alcuni colleghi mi avevano avvisato che non ce l’avrei fatta, che avrebbero dovuto imporsi i padroni di casa. Avevano ragione, due volte mi hanno derubato del trionfo, ad Alessandria d’Egitto e nel Canale di Suez”. Capitava che dopo il passaggio del leader straniero di turno, gli organizzatori portavano più indietro la boa, e chi era al comando si trovava l’avversario (guarda caso egiziano) sempre davanti. “Per loro, ai tempi di Nasser, il nuoto di fondo era lo sport nazionale. Impensabile perdere, per anni hanno fatto i francobolli con i vincitori”.

Infanzia felice a Bacoli, sul porticciolo di Baia, dove nuotava con il compianto Enzo D’Angelo, Travaglio iniziò l’attività agonistica solo a tredici anni. “Feci le prime gare in piscina, al Circolo Posillipo. Fu subito durissimo: allenamento sprint mattina e pomeriggio, la sera quando arrivavano i pallanotisti mi piazzavo dietro le porte a mulinare vasche”. Campione italiano nei 1500, trionfatore in decine di gare di nuoto di fondo, Travaglio chiuse la carriera nel 1970. “Ero stanco, avevo vinto tutto. Poteva bastare”. A 37 anni il matrimonio, quindi un incarico nella federazione americana, il lavoro all’Alitalia, 30 anni ancora circondato dall’azzurro, ma questa volta del cielo, poi il ritiro nella campagna argentina. Oggi vive a Paranà, a 550 km da Buenos Aires e molti meno da Santa Fe, dove è una celebrità: “Mi conoscono, mi fermano, chiedono episodi legati alle gare: ho sempre avuto un rapporto meraviglioso con quella gente. Ogni tre mesi però sono in Italia, a Padova”. Il segreto è che non ci sono segreti, basta essere sempre se stessi: “Ho sempre messo il cuore prima di tutto. Coppe e medaglie le ho donate tutte, a casa ho soltanto quella della prima Capri-Napoli”. E poi all’estero, dove era conosciuto come “il pirata italiano” per via del teschio disegnato sulla cuffia, non restava soltanto per le gare: “Mi trattenevo anche nelle settimane successive. Ero giovane, volevo vivere al massimo e non soltanto nuotare”.

Donne, amici e bracciate. “Avevo fame di successo, di conquistare il mondo. Mica come i giovani di oggi”. Sarà per questo che nessun altro italiano ha più vinto alla Rotonda Diaz? “I miei erano altri tempi, altri uomini. I motivi sono tanti, come le colpe della Federazione. Ma io avevo voglia di sfondare e nessuno avrebbe potuto fermarmi. I ragazzi di oggi si accontentano di esserci e spesso sono gestiti male”. Nessun dirigente ha mai pensato a Travaglio per guidare la Nazionale di nuoto di fondo? “Mai ricevuta una chiamata, mi avrebbe sorpreso il contrario. E comunque avrei rifiutato, potrei soltanto limitarmi ad alcuni consigli. Va bene così”. Rimpianti? “Ho detto no anche a Dennerlein, che mi voleva alle Olimpiadi del 1964: troppo politica e poca vita, in quel periodo andai a Santa Fe. Ho fatto tutto da solo, senza l’aiuto di nessuno. Mi sono divertito, ho viaggiato, ho conosciuto tanti amici e mi sono guadagnato da vivere praticando le mie passioni. Non potevo chiedere di più.

di MARCO CAIAZZO (www.repubblica.it)

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