Una nuova ricerca dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), realizzata in collaborazione con l’Università di Grenoble Alpes e l’Università di Bologna, ha portato alla luce un’importante novità: sotto la caldera dei Campi Flegrei, a una profondità tra i 3 e i 4 chilometri, esiste uno strato di crosta terrestre più fragile del previsto. Per capire di cosa si tratta, possiamo immaginare questo strato come una spugna: è più poroso e permeabile rispetto al resto della crosta, quindi permette ai fluidi magmatici (una miscela calda di gas e rocce fusi) di accumularsi. Proprio come una spugna che si riempie d’acqua, questo strato si carica lentamente di pressione finché, in certi casi, non riesce più a trattenerla. Questo può provocare fenomeni come il sollevamento del suolo e piccoli terremoti, che sono segnali noti nella zona flegrea.
I ricercatori hanno scoperto che, durante le passate eruzioni, il magma si fermava spesso proprio in questo strato più debole, a metà strada tra le rocce calcaree più profonde e i tufi vulcanici più in alto. Un po’ come una palla che rotola su un piano inclinato e si ferma quando incontra un gradino: il magma, trovandosi davanti un ostacolo, rallenta o cambia direzione. Questo fenomeno è stato osservato anche durante l’eruzione del 1538, che portò alla nascita del Monte Nuovo. In quel caso, il magma riuscì comunque a risalire e arrivare in superficie dopo una fase di “pausa” a 3-4 km di profondità.
È importante chiarire che questa scoperta non implica che un’eruzione sia imminente, ma ci aiuta a comprendere meglio il comportamento del vulcano. “Solo conoscendo in dettaglio cosa succede sotto i nostri piedi possiamo anticipare segnali importanti e ridurre i rischi per le persone”, spiega Mauro Antonio Di Vito, direttore dell’Osservatorio Vesuviano.
Lo studio fa parte del progetto LOVE-CF ed è stato considerato così rilevante da essere promosso anche sulla piattaforma scientifica EOS.org: https://eos.org/editor-highlights/deflected-dikes-perturb-the-plumbing-system
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