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Monte di Procida, storia, tradizioni e curiosità: ‘a ‘nférta r”i muòrte

Furono i bizantini i primi a creare un vero e proprio rituale per ricordare i morti. Poi, intorno all’anno 1000 la chiesa cattolica, per commemorare i morti, decise di far suonare le campane con rintocchi funebri dopo i vespri del 1 novembre e nel corso del XV secolo con il nome di Anniversarium Omnium Animarum compare nell’Ordo Romaus un insieme di riti e cerimonie papali celebrati nella Città Eterna.

Dalle nostre parti, le cerimonie relative ai morti sono sempre state molto sentite e un tempo duravano più di una settimana, esattamente dal 24 ottobre al 2 novembre.

In questi 9 giorni, tutte le sere, si recitavano preghiere per i morti, in particolare in ambito privato, si recitava la cosiddetta coronella dei morti.

Nella credenza popolare queste preghiere avevano lo scopo di riportare i morti nei luoghi dove avevano vissuto per metterli in contatto con i vivi sotto forma di apparizioni o sogni per lasciare un segno della loro presenza.

La sera era consuetudine lasciare sulla tavola della cucina acqua, pane, vino ed altro cibo per le anime del purgatorio. Più era grande l’offerta e maggiore sarebbe stata la possibilità che i defunti restassero in casa fino a Natale ed in casi particolari fino al 6 gennaio.

Anche i bambini partecipavano con gioia a questo rituale e soprattutto durante la notte tra l’1 ed il 2 novembre recitavano preghiere per ricevere doni dai defunti.

In particolare, per i bambini c’era l’usanza di lasciare una scarpa o una calza fuori alla porta di ingresso, alla finestra o accanto al letto per poi ritrovarla al mattino piena di doni, di solito fichi secchi, castagne, noci, nocciole e raramente qualche caramella o cioccolatino che gli adulti mettevano nella scarpa facendo credere ai bambini che a portarle erano stati i morti. Un modo per non far dimenticare i familiari defunti e per esorcizzare la morte stessa.

Questo rituale era denominato ‘a ‘nférta r”i muòrte e prevedeva anche l’usanza di regalare fiori e dolciumi alle fidanzate, alle mogli, alle madri ed alle suocere.

Anche l’alimentazione era vincolata durante questi 9 nove giorni. Si osservava una sorta di digiuno alimentare evitando di consumare carne, preferendo pesce, verdure, patate e frutta secca, in particolare nel giorno dei morti si consumava lo stocco con le patate ed alcuni digiunavano completamente o si nutrivano soltanto di castagne bollite in acqua con sale e foglie di alloro.

Ricordiamo che fino agli anni ’50, dalle nostre parti, alle donne non era permesso di partecipare ai cortei funebri; erano solo gli uomini ad accompagnare i defunti fino al cimitero mentre le donne rimanevano in casa a pregare.

Le donne avevano il compito, nei giorni dal 24 al 31 ottobre, di andare al cimitero per pulire le tombe ed i loculi di famiglia in modo da essere ben lucidati nei giorni di visita del 1 e 2 novembre.

In questi 2 ultimi giorni si portavano fiori e si manteneva un cero sempre acceso sulle tombe. I ragazzini più scaltri raccoglievano la cera sciolta per rivenderla soprattutto ai calzolai della zona in cambio di qualche spicciolo o frutta secca.

Da bambino mi  portavano sempre al cimitero nei primi giorni di novembre ad accendere un cero a tutti i parenti. Non avevo paura, anzi mi piaceva camminare tra le tombe e leggere attentamente le scritte sulle lapidi. Le donne era quasi tutte vestite di nero e portavano un velo sul capo, chine a pregare sulle tombe dei propri cari. Il camposanto era illuminato da tantissime fiammelle ardenti che rendevano l’atmosfera meno cupa e triste. Ogni tanto un colpo di vento rompeva il silenzio scuotendo gli alberi e spegnendo qualche candela.

Anche se so benissimo che è per il bene comune, pensare che oggi, proprio nel giorno dei morti, il nostro cimitero è chiuso mi riempie di tristezza; a memoria d’uomo sembra che non sia mai successo prima, nei circa 150 anni di vita del cimitero del Torrione.

— Pasquale Mancino

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