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Conoscere la storia dei propri luoghi, Monte di Procida. La chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo

Monte di Procida. L’amore della propria terra passa attraverso la conoscenza della sua storia e delle sue ricchezze: naturali, archeologiche e culturali.
Conoscere la storia dei propri luoghi risulta tra elementi fondamentali per poter amare ed apprezzare la propria terra. Ma soprattutto, oltre a rappresentare un arricchimento civile e culturale (cosa di non poco conto), ci fornisce uno straordinario strumento per vivere il nostro paese con maggiore consapevolezza ed il dovuto rispetto che merita il luogo che ci ospita, ed in alcuni casi ci ha ospitato sin dalla nascita.

Raffaele Giamminelli. Monte di Procida occupa il mosso pianoro, a sud-ovest della grande caldera vulcanica dei Campi Flegrei, dolcemente degradante verso il Canale di Procida, da quota 130 a 40 metri circa sul livello del mare. La zona, ben soleggiata ed esposta alle brezze marine, domina un eccezio-
nale scenario che si sviluppa da Cuma, Ischia, Procida, Capri, Punta Campanella, Capo Miseno, Nisida, Bacoli e Pozzuoli, spingendosi fino a Posillipo, Monte Faito, Vesuvio e collina dei Camaldoli.
Nell’antichità, il territorio di Monte di Procida, collocato tra Miseno e Cuma e pressoché inaccessibile, ha svolto una funzione agricola, dimostrata dagli scarsi reperti archeologici di età romana, attribuibili a cisterne per la raccolta di acqua piovana o muri di contenimento delle balze in opus reticulatum.
Nel Medio Evo divenne un’inestricabile selva, parzialmente coltivata da alcuni coloni procidani, dei quali Michele Parascandolo cita i nomi riportati in un registro del 1485 che, a sua volta, contiene un inventario del 1353: Giacomo di Albano, Bartolomeo Farao, Nicola Lubrano, Giacomo
Calabrese, Nicola Calabrese, Tuminaro Mallacio, Stefano Schiano e Stefano Lubrano.
ll “cardinale Ascanio Filomarino dismessa la caccia, e reso libero detto Monte… nel 1642 ne intraprese la coltura, col censuare, e dare a livello a Procidani il Monte, ed i contorni di Maremorto a quei di Posillipo, cioè tutto l’Agro Misenese con più e vari istromenti rogati pel quondam Notar Leonardo Porta di Carlo Antonio seniore. L’ ubertà, ed abbondanza di quel terreno, vangato, e reso culto co’sudori di essi coloni (stimati, e tenuti da tutti quali veri martiri della fatica) gli prometteva omai ogni felice riuscita, sicché obbligogli a far permanente la loro dimora là, dove da prima erano stati costretti portarvi fin anche l’acqua da Procida, perché abitavano in case di. paglie. E siccome con prontezza avanzavasi la coltura, così multiplicossi ancora la popolazione, che perciò vi cominciarono à fabbricare case, e cantine per uso loro, e delle loro ricolte; ma poi erano assai incomodati ne’dì festivi, poiché mancando loro il comodo della Messa venivano obbligati per soddisfare al Precetto Ecclesiastico, ed assistere al sacrificio di andare in Procida, quando il mare era in calma, oppure in Pozzuoli, cosa molestissima giacché la Chiesa di S. Anna,
Gesù, e Maria (a Bacoli, n.d.r.) fu edificata 50 anni dopo quella del Monte di Procida… precisamente ne’ giorni piovosi, il perché non rade volte erano costretti dalla necessità di non potervi assistere, quindi con umila supplica esposero all’Eminenza Sua questo loro incomodo, pre-
gandolo di edificarli un Oratorio nel Monte suddetto, e darli un Sacerdote a loro spese, che gli avesse celebrata la messa ne’dì festivi. Considerate, e ponderate le giuste dimande de’suoi coloni, l’Eminenza Sua annuì, e condiscese ad edificargli una Cappella a sue spese nel meditullio (= nel mezzo, n.d.r.) di esso Monte, luogo non ancor accensito (= dato in enfiteusi, n.d.r.), affinché fosse a portata di tutti. Essa fu eretta l’anno 1644 sotto il titolo dell’Assunta in Cielo, come si vede dall’Effigie del quadro che a dì nostri ancora esiste in sacrestia, e corredatela degli utensili necessari vi destinò un Prete Procidano, che là celebrasse coll’elemosina, che li somministravano i
Coloni”.
La chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo è stata più volte ampliata e abbellita con la crescita socio-economica della popolazione ed eretta a parrocchia il 21 gennaio 1887, con territorio sottratto a quello della parrocchia di Sant’Anna, Gesù e Maria di Bacoli. Pertanto, il 1644 può essere considerato l’anno di fondazione del primitivo nucleo abitato, sorto intorno alla chiesa e sull’antico e naturale percorso tra l’approdo procidano in località “Torre Fumo” e Cappella.
Un altro nucleo di case, oggi noto come “Case Vecchie”, in via Filomarino, si sviluppò in posizione più panoramica, collegandosi al precedente agglomerato dell’Assunta e alle numerose case sparse attraverso “cupe e pennini”, che si dipanano in percorsi più o meno tortuosi di antichissima origine. Secondo Michele Parascandolo, il toponimo “Case Vecchie” deriva “dal perché in quel sito vi erano ruderi ed avvanzi di case antiche agglomerate e di qualche Torre”.
Man mano, le provvisorie “case di paglia”, dislocate sulle strette terrazze delle falde della collina, furono trasformate in strutture più resistenti che assicuravano un più tranquillo riparo alle cose e alle persone. Col passare del tempo, il faticoso pendolarismo quotidiano divenne settimanale e,
in alcuni casi, sempre più numerosi, fu completamente abolito, per la realizzazione di residenze stabili e con adeguati servizi. Chiaramente, le fabbriche furono adattate in rapporto alle mutevoli esigenze di soggiorno: dal semplice deposito per gli attrezzi agricoli – coperto da volta a botte
col camino-focolare, spesso con un soppalco interno funzionante da rudimentale zona notte, e la sottostante cisterna per la raccolta dell’acqua piovana – si passò ad una tipologia più articolata, adatta per ospitare l’intera famiglia di coloni procidani, con uno sviluppo su due piani, il cui
livello superiore è raggiungibile mediante ardita e ripida scala esterna su archi rampanti.
Alquanto differenti erano le abitazioni che si svilupparono intorno alla chiesa dell’Assunta in Cielo e su via Filomarino con chiari segni riscontrabili nella cosiddetta “architettura procidana”, come il caratteristico “vèfio”: verone, altana, muro parapetto di terrazzo o loggiati, pianerottolo delle
scale esterne; insomma, un soggiorno esterno all’abitazione – protetto da rustici archi a sesto ribassato o a tutto centro, per i lavori domestici all’aria aperta – che favoriva il dialogo tra i gruppi familiari.
Monte di Procida divenne comune autonomo, staccandosi da Procida, il 27 gennaio 1907. Nel 1662 contava appena 15 fuochi o famiglie (circa 75 abitanti); nel 1776 i residenti erano1.000. Dal 1861 al 1991, la popolazione di Monte di Procida passa da 3.330 abitanti a 12.490, con una densità territoriale (kmq. 3,65) da 912 a 3.422 abitanti per chilometroquadrato, causa di un disordinato sviluppo edilizio, imputabile ad un incontrollato abusivismo, specialmente tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso.
Nel 1868 furono iniziati i lavori del cimitero, in località “Torre Fumo”; benedetto nella seconda domenica di maggio del 1872 e definitivamente aperto in ottobre dello stesso anno. La sua costruzione fu la causa della distruzione di una “torre d’avviso”, contro gli attacchi dei barbareschi. Come riporta Rosario Di Bonito, questa fu progettata dall’ingegnere Benvenuto Tortelli che, nel 1563, “si recò in Terra di Lavoro per un sopralluogo, decidendo di erigere nel territorio flegreo una torre in Monte di Procida (che prenderà il nome di Torre Fumo, con riferimento alle
segnalazioni ottiche) ed un’altra a capo Miseno”.

fonte www.infocampiflegrei.it

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